Ogni Uomo

Un pensiero dall’Amico Gennaro Longobardi

Ogni uomo su questo pianeta dovrebbe diventare conscio dell’immensità che lo circonda e non ignorarla o darla per scontata. Ogni uomo su questo pianeta dovrebbe capire o diventare consapevole, che ogni problema, ogni ostacolo, ogni dramma, nella sua piccola o importante grandezza, che dovrà affrontare,  sarà sempre un’occasione di riflessione, reazione e meditazione, seppur nella sua angoscia o grande preoccupazione…

Spesso o quasi sempre dimentichiamo che viviamo su un minuscolo pianeta che abbiamo chiamato Terra, un piccolo granello sospeso nell’immensità di un universo a noi sconosciuto. Ed è proprio quello il salto che dovremmo fare… capire che non siamo eterni e che l’adesso è la sola eternità che cerchiamo incessantemente di possedere ma alla quale non diamo nessuna importanza, proprio nell’atto della sua stessa esistenza.

Gennaro Longobardi

Il Gruppo Civico INTERAZIONE

INTERAZIONE è un gruppo civico. Con questo vogliamo affermare che è costituito da liberi cittadini ed è per liberi cittadini. Il gruppo è nato a seguito di una riunione indetta presso la cappella della Chiesa di Scientology della Sardegna nel giugno del 2016, alla quale hanno partecipato rappresentanti della religione Cattolica, Musulmana, Hare Krishna, Buddista, Scientology e della tribù Diné Navajo. In questa sede ha avuto origine un gruppo legato dall’intento di causare cambiamenti nella società partendo dalla semplicità e dalla sensibilità che solo gli amanti della vita possono avere.

Ha lo scopo di creare uno spazio culturale nel quale l’intento sia unicamente quello di diffondere conoscenza. La conoscenza è vita ed è per questo che le attività di questo gruppo possono spaziare toccando vari temi. Poiché la comprensione della vita richiede sensibilità, interesse per l’altro e propensione all’acquisire nuove informazioni, il filo conduttore è sempre quello che riporta all’accrescimento interiore, all’anima o piuttosto alla spiritualità in senso più generale. Ecco che nella diversità si cerca arricchimento.

INTERAZIONE è la parola scelta a dar nome al gruppo proprio per questa volontà di trovare ricchezza e nuova conoscenza nella diversità. La parola stessa implica la volontà agire assieme e reciprocamente.

CHI SONO I DEVOTI DI KRISHNA, GLI HARE KRISHNA?

di Yudhisthira Das – responsabile regionale della comunità Hare Krishna

I devoti di Krishna appartengono alla tradizione Gaudiya Vaisnava, meglio nota in occidente come Movimento “Hare Krishna” o “Movimento per la Coscienza di Krishna”. Questa tradizione Vaisnava, che tratta della relazione eterna che lega gli esseri viventi a Dio, è molto antica (risale al tempo della presenza di Sri Krishna su questo pianeta, ovvero circa 5.000 anni fa). In tempi più recenti questa tradizione ha riacquistato grande vigore tra il quindicesimo e il sedicesimo secolo d.C., grazie all’opera di Sri Krishna Caitanya Mahaprabhu, designato dalla Scritture vediche come manifestazione di Dio stesso, disceso per diffondere il canto del santo nome del Signore Hare Krishna Hare Krishna Krishna Krishna Hare Hare / Hare Rama Hare Rama Rama Rama Hare Hare in ogni città e in ogni villaggio del pianeta.

Nei secoli successivi questa tradizione è stata tramandata dagli acarya (grandi maestri) della Gaudiya Vaisnava Sampradaya, catena di maestri grazie alla quale il messaggio spirituale è potuto arrivare intatto fino a noi. Un importantissimo anello di questa catena di maestri è Sua Divina Grazia A.C. Bhaktivedanta Swami Prabhupada, fondatore-acarya dell’Associazione Internazionale per la Coscienza di Krishna che ha diffuso a livello mondiale gli insegnamenti rivelati da Sri Caitanya Mahaprabhu, insegnamenti che erano rimasti, prima di lui, confinati all’interno dell’India.

A partire dal 1965, all’età di 69 anni, Srila Prabhupada ha lasciato l’India con destinazione New York per soddisfare il desiderio del suo maestro spirituale che desiderava far conoscere ai Paesi occidentali la filosofia del bhakti-yoga. Punto centrale di questi insegnamenti, è che ogni cosa, ogni essere vivente, ha una relazione eterna con Dio ed è, simultaneamente, uguale e differente da Lui. Questo principio, in tutte le sue profonde sfaccettature e ramificazioni, è stato ampiamente spiegato in una vasta letteratura denominata “Scritture Vediche” di cui la Bhagavad-gita, lo Srimad-Bhagavatam e la Caitanya-caritamrta ne costituiscono il cuore. La traduzione dall’antico linguaggio Sanscrito all’Inglese (e grazie ai suoi discepoli è stata poi resa anche nelle altre lingue del mondo) di tale ampia letteratura ha costituito il dono principale che Srila Prabhupada ha fatto all’umanità. Questa grande personalità ha lasciato il mondo nel 1977, ma la sua missione è stata proseguita da alcuni dei suoi confratelli (discepoli di uno stesso maestro) e discepoli tra cui Srila Bhakti Vaibhava Puri Gosvami Maharaja e Srila Bhaktivedanta Narayana Gosvami Maharaja (recentemente scomparsi), che si distinguono nel mondo occidentale per la loro instancabile opera di predica che li ha portati, nonostante l’età avanzata, a viaggiare ovunque per aiutare i devoti nella pratica quotidiana, proseguire la traduzione dei testi spirituali e spiegare i profondi insegnamenti dei Veda a tutti coloro che incontravano.

In sintesi, i Veda spiegano che la vita umana è difficile da ottenere ed è preziosa, e sebbene temporanea deve servire a comprenderne l’importanza. Per prima cosa dobbiamo sapere ‘Chi sono io? Perché sono in questo mondo materiale?’ Tutti cercano la felicità ma dobbiamo accettare anche la sofferenza. Perché? Chi è il creatore di questo Universo? Chi lo mantiene e chi lo distrugge? Queste cose sono molto importanti da sapere e devono essere conosciute dagli esseri umani. Se chiediamo a qualcuno ‘Chi sei?’, risponderà con il suo nome e/o con la sua posizione ‘sono un uomo’ ‘sono una donna’, ‘sono un dottore’ ecc., ma questa non è la nostra vera identità. Qual è allora la nostra vera identità? Si tratta della prima cosa da conoscere. Nella Bhagavad-gita, Krishna, la Suprema Personalità di Dio, che è il Creatore dell’universo, afferma che “noi non siamo questo corpo”, siamo anime spirituali eterne, parti e particelle della Suprema Persona di Dio, che vivono all’interno di un corpo materiale. A causa dell’influenza dell’energia materiale, abbiamo dimenticato la nostra vera identità spirituale e viviamo nella concezione corporea dell’esistenza. In quanto parti del Supremo, siamo qualitativamente uguali a Lui come le pepite d’oro sono qualitativamente uguali alla miniera d’oro perché fatti della stessa sostanza, ma siamo anche, allo stesso tempo, quantitativamente diversi da Lui perché siamo infinitesimali mentre Lui è infinito. In quanto parti di Dio abbiamo il dovere di servirLo: in ciò consiste la nostra posizione eterna. Ma siamo anche dotati di libero arbitrio. Possiamo scegliere se servirLo oppure no. Se scegliamo di non servirLo, allora veniamo nella dimensione materiale dove vivremo alla ricerca di una propria felicità egoistica. A causa di questa ricerca di felicità egoistica, sviluppiamo desideri materiali che ci intrappolano sempre più in questa concezione materiale della vita continuando a compiere attività materiali che ci fanno ottenere un corpo materiale dopo l’altro. Da innumerevoli vite soffriamo in questo mondo materiale subendo le quattro forme di sofferenza: nascita, malattia, vecchiaia e morte. Nonostante i tentativi di godere dell’esistenza, alla fine otteniamo solo sofferenza. Perché? La causa delle nostre sofferenze è la dimenticanza dell’Anima Suprema. Chi è l’Anima Suprema? È Dio, il controllore Supremo, Krishna. Quando gradualmente ritroveremo la nostra connessione con Krishna, allora automaticamente la felicità arriverà. Come possiamo ottenere la conoscenza di Lui e della relazione che ci lega nonostante la nostra ignoranza? Krishna è molto misericordioso ed è disceso in questo mondo sia personalmente che nella forma di persone sante e sacre scritture, al fine di alleviare le sofferenze degli esseri viventi. Lui ci dice “Non utilizzate il vostro tempo solo per mangiare, dormire, avere relazioni sensuali e difendervi come fanno gli animali, ma utilizzatelo per compiere attività spirituali come cantare i Miei santi nomi trascendentali Hare Krishna Hare Krishna Krishna Krishna Hare Hare / Hare Rama Hare Rama Rama Rama Hare Hare.” Attraverso questo metodo ritroveremo la nostra relazione con il Signore Supremo in quanto la nostra vera identità è quella di essere Suoi eterni servitori.

Qual è il rapporto dei devoti di Krishna con le altre religioni o forme di spiritualità? I devoti pensano agli appartenenti alle altre religioni come a fratelli e sorelle, perché tutti apparteniamo allo stesso Dio e siamo quindi in realtà una stessa famiglia in quanto Suoi figli. Così come, ad esempio, l’acqua viene pronunciata in differenti modi a seconda dei differenti linguaggi restando pur sempre lo stesso oggetto, similmente Dio è Uno ma le preghiere che Gli rivolgiamo e il nome con cui Lo chiamiamo possono cambiare dovuto alle differenti lingue e culture.

Che tutti possano diventare felici e liberi da qualsiasi problema.

Hare Krishna Hare Krishna

Krishna Krishna Hare Hare

Hare Rama Hare Rama

Rama Rama Hare Hare

Progresso scientifico e spirituale dell’uomo procedono in stretta connessione

contributo di Suor Assunta Corona FdC

È sicuramente una novità che una donna, una cattolica ed anche religiosa si trovi qui a parlare di progresso spirituale dell’uomo nel mondo contemporaneo. Certo, senza il progresso scientifico e tecnologico, che ha investito il mondo Occidentale da Galileo in poi, la sottoscritta oggi non
sarebbe qui. Il progresso scientifico ha un’incidenza enorme non solo sulla vita biologica dell’uomo, ma anche sulla sua dimensione culturale, spirituale e religiosa.
Quale donna oggi sarebbe disposta a rimpiangere la condizione della donna che faceva il pane in casa, lavava la biancheria al fiume, soggiaceva al giudizio impietoso del proprio paese-villaggio, sottostava al potere del marito che poteva disporre di lei così come del proprio asino o del cavallo? Il progresso migliora la qualità della vita, perciò migliora anche la dimensione spirituale della persona. Questo è assodato. Ma il progresso scientifico e tecnologico, pur essendo in se stesso neutro, tende ad appropriarsi a 360 gradi della filosofia e a dominare il pensiero umano. Le filosofie scientiste e positiviste, di chiara derivazione materialista, da Kant fino quasi a tutto l’Ottocento, non senza una certa arroganza, hanno ritenuto di poter delimitare l’ambito dell’umana conoscenza alla sola esperienza empirica, relegando ogni altra forma conoscitiva ad un gradino inferiore, prerazionale. Ne è seguita la convinzione che la religione non è che uno stadio primordiale, attribuibile all’infanzia
dell’umanità, che deve cedere il passo allo stadio scientifico, l’unico degno dell’uomo moderno.
È nota la definizione di religione come “oppio dei popoli” introdotta da Hegel, e riproposta successivamente da Feuerbach e da Marx. L’alienazione religiosa sarebbe quindi la responsabile del perpetuarsi della divisione dell’umanità tra ricchi e poveri, tra sfruttati e sfruttatori, perciò la causa dell’infelicità umana.
Di rimando, l’uomo moderno si è visto premiato del titolo di individuo emancipato a condizione di accelerare la propria liberazione dalle proiezioni simboliche ereditate dalla cultura religiosa.
Non si dica che il processo di emancipazione dell’uomo dalla tradizione religiosa e culturale sia fallita se nei nostri ambienti qualsiasi ragazzino impertinente si sente in diritto di dileggiare la religione. Se F. Nietzsche incarica Zaratustra di annunciare la “morte di Dio”, e fa della “Gaia scienza” un
evangelo rovesciato, l’uomo così velocemente liberato dell’archetipo divino comincia a presentare qualche crepa, e a soffrire di un “male di vivere” (Montale) che è frutto della sua condizione di orfanezza del senso spirituale del vivere, ossia dello smarrimento dell’anima e della religione, che lo avevano accompagnato per molti millenni della sua storia. La letteratura di fine Ottocento e del primo Novecento si popola di figure che rappresentano l’uomo orfano di Dio.

Il Fringuello pascoliano, ormai cieco, non vedrà mai più il sole. Nel lamento struggente del fringuello Pascoli traspone la condizione dell’uomo reso orfano di Dio. La letteratura si popola di uomini dimidiati: l’ultimo dei Buddenbroock , o il Tadzio di “Morte a Venezia di T. Mann , “L’uomo senza qualità” di Musil, il Gregor di Kafka, ridotto a scarafaggio buono solo ad essere spazzato via con la scopa non sono che alcuni dei dolenti personaggi che affollano la letteratura occidentale.
La perdita non è solo individuale, ma collettiva. Con il suo “Maledetto sia Copernico” del “Fu Mattia Pascal” Pirandello sa bene con Einstein che è finita per sempre l’illusione umana di credersi il centro dell’universo. L’antropocentrismo è finito per sempre. L’uomo altro non è che una
periferia fragile e insignificante di un cosmo indecifrabile. Il quadro potrebbe oscurarsi ancora di più se si prendono in considerazione le dittature, le guerre
mondiali, i genocidi che hanno straziato il Novecento. Ma ecco che cominciano a farsi strada voci di ben altra tonalità di quelle dei maestri del sospetto.
Mìrcea Elìade, un antropologo, filosofo, studioso degli archetipi religiosi primordiali, nella prima metà del secolo scorso, in aperto contrasto con le precedenti teorie, accentuando l’aspetto sociale e collettivo della nozione di Dio, teorizza la religione come axis mundi di tutte le civiltà umane.
Intanto, il noto psicoanalista Carl Gustav Jung, nella sua autobiografia racconta un episodio da lui vissuto all’età di 12 anni quando, passando davanti alla cattedrale di Basilea, nella sua immaginazione vide in cielo una figura solenne, seduta su un trono, che versava dello sterco sul tetto della cattedrale facendolo crollare. Dopo lo sbigottimento iniziale, il giovane Jung cercò di capire il senso di questa sua immaginazione. La interpretò come una manifestazione di Dio alla sua persona. Prese coscienza che Dio c’è e che è una realtà insopprimibile nell’interiorità dell’uomo, ma questo Dio rigetta come un involucro vuoto la religione tradizionale 2 .
In età matura lo stesso Jung farà scrivere sulla porta della sua casa la scritta che campeggiava all’ingresso dell’oracolo della Pizia a Delfi: vocatus atque non vocatus Deus aderit. Spiegherà di aver fatto incidere questa frase per ricordare a se stesso e ai suoi pazienti la condizione precaria dell’essere umano che solo nel riconoscimento della propria dipendenza dal divino giunge alla coscienza e alla libertà. Senza tale consapevolezza, l’uomo non porterà a compimento il processo di individuazione, che è il compito più serio della vita di ciascun uomo e dei popoli.
Con le sue teorie Jung riapre sia il discorso della spiritualità umana, sia il discorso religioso, che con Darwin, Freud e tanti altri sembrava essere arrivato al capolinea. La spiritualità e la religione sono tutt’altro che tramontate nella storia dell’evoluzione umana. Il grido nicciano non è falso, ma la morte di quale dio annuncia Zaratustra? Ad essere morto è il dio costruito dall’immaginazione
dell’uomo, che lo ha fabbricato a sua immagine e somiglianza: un essere arcigno e cattivo, pronto a punire l’uomo con le torture più atroci. Non è morto l’archetipo del divino con i suoi simboli primordiali che popolano realmente il mondo spirituale dell’uomo. In Dio si crede, afferma Jung per esperienza, perché il divino insorge continuamente dentro l’animo umano e informa di sé la persona.
Nella sua breve esistenza l’uomo ha il compito di perseguire il principio di individuazione, ossia acquisire coscienza di sé. Questo passaggio che il cristianesimo definisce come vita nuova in Cristo Pantocrate, la gnosi e molte altre filosofie lo chiamano illuminazione, dice in sostanza che l’uomo raggiunge la felicità nella misura in cui persegue questo processo conoscitivo di sé, di cui la conoscenza scientifica ed empirica non è che il livello più superficiale, quasi elementare del cammino umano. Perciò chi volesse eliminare l’intuizione, la spiritualità e la religione dal cammino umano 3 si condannerebbe alla condizione del fringuello cieco. Questa è la vera emancipazione che il progresso ha permesso in età moderna.
L’uomo deve imparare a decifrare i processi della propria interiorità e ad abitarli, non a respingerli. Ciò che insorge nello spirito umano come intuizione, bisogno, desiderio ci informa di una verità che la sola conoscenza empirica non potrà mai darci.
Per esempio, nessuna informazione scientifica mi dirà come stanno le cose nell’aldilà, ma è certo che la nozione di annientamento totale della vita con la morte mi crea sgomento e paura, mentre la nozione del compimento della mia vita mi comunica sensazioni, sentimenti immagini condivisa da una simbologia collettiva e pressoché universale. Ho il diritto di fidarmi della mia intuizione positiva piuttosto che di quella negativa. La storia dei popoli dice che i gruppi umani, pur senza aver contatti tra di loro, hanno elaborato unanimemente simboli del divino, dello spirito umano e della vita oltre la morte.
Mi avvio alla conclusione con alcune considerazioni:
Noi siamo grati alla scienza che ha reso più veloci i nostri piedi con le auto, con i treni e con gli aerei; siamo grati alla scienza che ci ha regalato gli elettrodomestici, che ci consentono di risparmiare tempo da dedicare alla cultura, all’amore, alla vita; siamo grati alla scienza che ci permette di liberarci in gran parte del dolore fisico e ci aiuta a vivere più a lungo e meglio, siamo
grati alla scienza che ci permette oggi di parlare tra di noi via zoom malgrado il covid… Soprattutto ringraziamo il progresso scientifico in quanto ha contribuito alla liberazione della vita della persona.
Tale liberazione implica la capacità di conoscere in modo più personale i significati religiosi della vita e di imparare a coltivare la comunione con Dio che si compiace di abitare in noi. Si realizza così la promessa che la vita di questo filo d’erba che siamo noi nel cosmo infinito giungerà alla pienezza del compimento.
La spiritualità è dunque viva più che mai, ma chiede di passare da forme di religiosità esteriore e formale ad una religione che sia adesione personale e interiore. Ci chiede di coltivare la consapevolezza che il divino abita in noi ed è nostro interlocutore preferenziale. Significa anche curare la nostra persona, averne stima, apprezzarla, sorprendersi per le sue capacità, coltivarla come
il principale dei nostri compiti, per avere con il divino che ci abita un dialogo come con il nostro interlocutore più vicino. Capirete che, alla luce di quanto abbiamo cercato di dire, famiglia, scuola società, politica ecc. hanno un compito tutto nuovo da svolgere: ecco la spiritualità in azione.